Alice Conte

Raccontaci il tuo primo incontro con l’illustrazione!
Da che ho memoria ho sempre disegnato e letto libri, in ogni momento. A 4 anni non sapevo ancora leggere perciò prendevo le riviste di moda di mia mamma e aggiungevo disegni sulle foto delle modelle. Oppure quando andavamo a cena fuori con la mia famiglia portavo già con me colori e fogli (un primissimo sketchbook, sì) e ritraevo le persone in sala, anche sconosciuti. Alcuni amici dei miei genitori hanno ancora i miei primissimi ritratti e se ne vantano. Uno dei primi libri che ricordo di aver sfogliato tanto era un libro su Picasso. Non capivo cosa in particolare ma la sua arte mi ipnotizzava e cercavo di ridisegnarla. Alla vista del quadro di Guernica piangevo perché i cavalli erano feriti e mi dispiaceva, li sentivo piangere. Ecco, diciamo che l’arte l’ho sempre sentita viva.

Qual è stata l’esperienza formativa che più ha influito sul tuo percorso di artista? È stato ufficialmente durante il secondo anno della triennale di grafica che c’è stato un primo incontro ravvicinato con l’illustrazione. Fra le materie c’era storia dell’illustrazione ed è lì che ho avuto un assaggio di questo mondo, così non ho più smesso di studiarlo. Andavo ogni sabato mattina in biblioteca, prendevo una vasta sezione di albi illustrati, li studiavo e poi li ridisegnavo. Ma è alla fine del terzo anno quando ho avuto la magica occasione di fare il tirocinio con Guido Scarabottolo che è scattata una nuova folgorante scintilla. Vedere i suoi lavori dal vivo, sentirmi raccontare come nasce un’illustrazione, nella mia testa c’è stato un clic: ho sempre scarabocchiato ma non avevo mai veramente considerato che i miei mostrini potessero uscire dal foglio e entrare a far parte dei libri.
In che modo le tue immagini riescono a raccontare le parole di un libro? Quando leggo il testo è come se i personaggi, i paesaggi, le situazioni, mi si presentassero davanti. È come se diventassi una “sarta” e “cucissi” luoghi, personaggi e atmosfere sulle immagini che mi si creano in mente. Quando so che una mia immagine funziona ci ridacchio sù, mi emoziono e allora inizio a cucire le immagini che vedo nei testi. Alla fine le immagini devono danzare la stessa musica del testo altrimenti non funziona.


Un po’ come nel paese delle meraviglie di Alice, le creature che abitano le tue illustrazioni sembrano provenire da mondi fiabeschi. Cosa alimenta di più la tua immaginazione? La mia immaginazione è alimentata da un generatore che funziona con l’osservazione di ciò che mi circonda. Mi nutro di tutto ciò che mi è attorno e se non è così vicino, prendo il binocolo. La realtà è piena di dettagli così interessanti che basta guardarsi intorno per trovare lo spunto giusto. Devo però sbrigarmi a ritrarre queste cose, per questo motivo i miei disegni sono fatti in pochissimo tempo perché mi baso sul mio istinto e se andassi a ripensarci, rifarli non mi piacerebbe più. Il mio tratto funziona bene proprio perché è impulsivo.
Qual è il medium con cui senti di esprimerti al meglio?
Mi esprimo bene con pennello a china ma quando mi voglio esprimere al meglio utilizzo tantissimi materiali perché mi piace sperimentarli e vedere che traccia lasciano, se mi comunicano qualcosa. Ma succede spesso che quando disegno, mi lascio così andare che le mani vanno veloci e prendo i materiali che ho sulla scrivania. Diciamo che nella mia classifica c’è il pennello con china, pastelli a olio e a cera e marker pantone, matite…


Se dovessi pensare a un progetto editoriale che ti piacerebbe illustrare, quale sceglieresti? Mi piace moltissimo il mondo dell’editoria dell’albo illustrato, spesso mi scrivo le storie che poi illustro quindi mi piacerebbe tanto pubblicare albi scritti e illustrati da me. Però fra i soggetti che ritraggo di più ci sono spesso piatti e posate varie perché il mondo della cucina mi affascina tantissimo. Quindi non escluderei libri di cucina, magazine o anche etichette per i vini.




Alice Conte: @alicec_illustration alicec.illustrator@gmail.com